Li vedi passeggiare per le vie delle città, vestiti
all’indecente maniera dei rapper americani e dei tronisti da strapazzo, o
allineati alle ultime, ignobili mode dettate dalle multinazionali globalizzate
dell’abbigliamento. Li vedi trastullarsi inebetiti e lobotomizzati davanti agli
schermi dei loro smartphone, alla ricerca dell’ultima app da scaricare,
dell’ultimo “mi piace” da inserire, dell’ultimo ritocchino al profilo facebook
o twitter. Li vedi ridere sguaiati e indecorosi, coi pantaloni inguinali che
calano mostrando lo slip firmato. Li vedi parlare sboccati e incerti, magari
sotto l’effetto di un bel cannone o di qualche smart drug, o storditi da
qualche ora passata on line chissà a fare cosa. Vedi ragazzine appena
adolescenti truccate e vestite da professioniste del sesso, mentre gli ipocriti
soloni del giornalismo, della politica e del mondo della “cultura” fanno finta
di scoprire con sdegno che centinaia di ragazzine si prostituiscono per vivere
nel lusso ed avere tutto, mentre su internet circolano incontrollabili flussi
di foto o video di ogni genere che ritraggono le gratuite nudità di
giovanissime ancora acerbe, eppure così spregiudicate nella loro precoce, forzata
adultizzazione.
Sono questi i rappresentanti di una buona fetta
dell’odierna gioventù europea, come l’hanno voluta ridurre i solerti esecutori
dei progetti di distruzione ed omologazione forzata verso il basso dei popoli
del vecchio continente (e non solo).
Poi ti capita, per una strana coincidenza, di
leggere una lettera, l’ultima lettera scritta alla propria madre da un ragazzo
appena diciottenne, Franco Aschieri, un romano classe 1926, paracadutista della X Mas, che il 30 aprile del 1944 viene fucilato dai
“liberatori” a Sant’Angelo in Formis (Caserta), insieme ad altri tre ragazzi,
più o meno suoi coetanei, tutti volontari della RSI. Tra il Gennaio ed il
Maggio del 1944 saranno in totale tredici i giovani caduti sotto il piombo
angloamericano nella cava di pozzolana di questa località.
Ti capita di leggere questa lettera e di
commuoverti, inaspettatamente ma senza alcuna vergogna. Ti sembra di sentir
parlare un Codreanu, un Bobby Sands, un Robert Brasillach. Comprendi che
nell’animo nobile di un ragazzo ancora giovanissimo era già pienamente
manifestata un’aristocratica grandezza, era già forgiato un carattere
d’acciaio, era già dispiegata una maturità spirituale ed una consapevolezza
sovrumana. Lo senti parlare del suo spirito, dopo la notizia della condanna a
morte: “ho sentito … che il mio spirito si riempiva di forza e si
estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della
carne per riconquistare la libertà”. Lo
senti parlare del proprio destino, in termini di “ciclo spirituale”: “Non ho alcun risentimento contro coloro
che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da
Dio, che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa
vita presente”. Lo senti rivolgersi alla madre con la teologica certezza di
chi ha già compreso ogni cosa: “sono
certo che i nostri spiriti continueranno insieme il loro cammino di redenzione,
dato che il legame che ci univa su questa terra, più di quello che esiste tra
madre e figlio, è stato quello che unisce due spiriti affini e giunti allo stesso
grado di evoluzione”. Lo senti parlare di un sacro ideale e di una sacra
battaglia in nome della civiltà e dell’Europa, quella vera: “Sono contento della morte che mi è destinata
perché è una delle più belle, essendo legata ad un sacro ideale. Io cado ucciso
in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma
so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può
che assegnare a noi. Viva il Fascismo. Viva l’Europa”. Sai che questo
ragazzo, insieme ai suoi tre camerati, ha cantato inni in faccia al nemico che stava
per sopprimerne la vita corporea, senza ovviamente poter intaccare il resto.
Non ha voluto essere bendato, è andato incontro sorridente al volto grossolano
dei suoi stolti carnefici. Sai che costoro stanno pagando già il proprio fio, e
che i solerti manovali della sovversione che dominano in questa generazione
saranno chiamati a pagarlo, a tempo debito. Nel frattempo ti sembra di vederli,
i volti trasfigurati e limpidi degli eroi che, in attesa della resurrezione in
una nuova carne, percorrono lieti le sacre, luminose vie dei Campi Elisi.
Senti il cuore battere
forte, un grande orgoglio ed un immenso senso di gratitudine. Comprendi
cos’erano quei ragazzi, quale incommensurabile distanza c’è tra quell’epoca,
tra quegli spiriti, e gli zombie di oggi. Comprendi che tra il 1945 ed il 2013
non sono trascorsi solo settant’anni, ma si è passati da un’éra all’altra della
storia dell’umanità. Tutta la decadenza che pur già all’epoca si era
manifestata, è solo un’ombra rispetto a quel che sta accadendo oggi.
Sono decine e decine le lettere di ragazzi e ragazze
della RSI condannati a morte, di cui quella di Franco Aschieri può costituire
idealmente una sorta di esempio rappresentativo. Si tratta di documenti
eccezionali, che è possibile rintracciare non solo in forma cartacea, in alcuni
libri pubblicati diversi anni fa, ma fortunatamente anche su internet. Da ogni
parola di queste lettere trasudano intatti il senso dell’onore e del
sacrificio, un’idealità pura e cristallina, una fedeltà assoluta. Quanto
sarebbe importante che i giovani lobotomizzati di oggi potessero, a scuola,
leggere queste piccole opere dello spirito. Ma questa, si sa, è una pura
utopia: tutti continueranno ad imparare a memoria “bella ciao” ed a sorbirsi le
rosse filippiche filo-partigiane dei professorini post-sessantottini che
tengono saldamente in mano, con il supporto di presidi e sodali di vario
genere, le chiavi della cosiddetta pubblica istruzione, o di quel che ne è
rimasto.
Ti rendi conto, quindi,
di quale stirpe fosse riuscito a creare il cosiddetto “male assoluto” -
seppure, inevitabilmente, solo in piccola ma significativa parte - e la
confronti con quella che ha saputo (ri)creare la democrazia, nell’era del
materialismo cosmico e della schiavitù culturale alla american way of life: un confronto dagli esiti imbarazzanti,
svilenti, drammatici.
Anche il racconto di Don
Giuseppe Ferrieri, il parroco che assistette i ragazzi, è estremamente
significativo, poiché rivela l’anima ancora pulita di un sacerdote d’altri
tempi che non osava benedire in nome dell’antifascismo o andare a braccetto coi
“compagni”, come hanno fatto ed amano fare i cattocomunisti di tutte le epoche,
ma che con cristallina trasparenza sapeva chiamare “eroi” quei ragazzi che pure aveva soltanto da poco tempo conosciuto
e che, con quello spirito profetico che oggi troppi religiosi hanno smarrito,
chiedeva a quei giovani, una volta in cielo, di pregare “per l’Italia divisa in tanti partiti che la rovineranno”.
Sono anche queste
piccole, grandi emozioni che contribuiscono a farti capire con sempre maggiore
convinzione che quella che stai combattendo quotidianamente, nell’odio o
nell’indifferenza dei veri ciechi, dei veri sordi, dei veri zombie, pur se con
armi ben diverse da quelle che furono chiamati ad imbracciare quei ragazzi
coraggiosi, è la buona battaglia, quella dello spirito contro la materia, del
sangue contro l’oro - come ricorda una bellissima lapide posta a ricordo dei
tredici caduti di Sant’Angelo in Formis – e che oggi potremmo definire anche
quella della purezza contro la perversione.
Ognuno di noi, secondo le
proprie capacità e le proprie attitudini, dovrà quindi cercare di portare
avanti senza tentennamenti il testimone della Tradizione, onorando al meglio la
memoria di quelle eroine e di quegli eroi che, come Franco Aschieri, sacrificandosi
senza esitazioni, caddero col sorriso sulle labbra, in nome di quei grandi
ideali per i quali avevano lottato.
Paolo G.
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Ultima lettera di
Franco Aschieri alla madre
Tratto da “Lettere dei condannati a morte della RSI”,
Edizioni B&C, 1976, seconda edizione, pagina 101-102
«Cara mamma, con l’animo pienamente sereno mi preparo a lasciare questa
vita che per me è stata così breve e nello stesso tempo così piena e densa di
esperienze e sensazioni. In questi ultimi momenti l’unico dolore per me è
costituito dal pensiero di coloro che lascio e delle cose che non ho potuto
portare a compimento. Ti prego, mamma, fai che il mio distacco da questa
vita non sia accompagnato da lagrime, ma sia allietato dalla gioia serena di
quegli animi eletti che sono consapevoli del significato di questo trapasso.
Ieri, dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto ed
ho provato una sensazione che avevo già conosciuta da bambino: ho sentito cioè
che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso,
come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà.
Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so
che non sono che degli strumenti scelti da Dio, che ha giudicato sufficiente il
ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente. Sappi mamma che non
resti sola, perchè io resterò vicino a te per sostenerti ed aiutarti finché non
verrai a raggiungermi; perché sono certo che i nostri spiriti continueranno
insieme il loro cammino di redenzione, dato che il legame che ci univa su
questa terra, più di quello che esiste tra madre e figlio, è stato quello che
unisce due spiriti affini e giunti allo stesso grado di evoluzione. Sono certo
che accoglierai la notizia con coraggio e voglio che tu sappia che in momenti
difficili io ti aiuterò come tu hai aiutato me durante questa vita. In questo
momento sono lì da te e ti bacio per l’ultima volta, e con te papà e tutti gli
altri cari che lascio. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei
condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi
è destinata perché è una delle più belle, essendo legata ad un sacro ideale. Io
cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della
civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la
Giustizia non può che assegnare a noi. Viva il Fascismo. Viva l’Europa. Franco».
Il racconto dell’esecuzione di Don Giuseppe Ferrieri,
parroco di San Pietro di Santa Maria Capua Vetere, che ebbe ad assistere Franco
Aschieri e gli altri tre ragazzi
Tratto da “Lettere dei condannati a morte della RSI,
Edizioni B&C, 1976, seconda edizione, pagina 54-55
