domenica 26 gennaio 2014

Franco Aschieri e la stirpe dello spirito - Paolo G. [INEDITO]



Li vedi passeggiare per le vie delle città, vestiti all’indecente maniera dei rapper americani e dei tronisti da strapazzo, o allineati alle ultime, ignobili mode dettate dalle multinazionali globalizzate dell’abbigliamento. Li vedi trastullarsi inebetiti e lobotomizzati davanti agli schermi dei loro smartphone, alla ricerca dell’ultima app da scaricare, dell’ultimo “mi piace” da inserire, dell’ultimo ritocchino al profilo facebook o twitter. Li vedi ridere sguaiati e indecorosi, coi pantaloni inguinali che calano mostrando lo slip firmato. Li vedi parlare sboccati e incerti, magari sotto l’effetto di un bel cannone o di qualche smart drug, o storditi da qualche ora passata on line chissà a fare cosa. Vedi ragazzine appena adolescenti truccate e vestite da professioniste del sesso, mentre gli ipocriti soloni del giornalismo, della politica e del mondo della “cultura” fanno finta di scoprire con sdegno che centinaia di ragazzine si prostituiscono per vivere nel lusso ed avere tutto, mentre su internet circolano incontrollabili flussi di foto o video di ogni genere che ritraggono le gratuite nudità di giovanissime ancora acerbe, eppure così spregiudicate nella loro precoce, forzata adultizzazione.
Sono questi i rappresentanti di una buona fetta dell’odierna gioventù europea, come l’hanno voluta ridurre i solerti esecutori dei progetti di distruzione ed omologazione forzata verso il basso dei popoli del vecchio continente (e non solo). 

Poi ti capita, per una strana coincidenza, di leggere una lettera, l’ultima lettera scritta alla propria madre da un ragazzo appena diciottenne, Franco Aschieri, un romano classe 1926, paracadutista della X Mas, che il 30 aprile del 1944 viene fucilato dai “liberatori” a Sant’Angelo in Formis (Caserta), insieme ad altri tre ragazzi, più o meno suoi coetanei, tutti volontari della RSI. Tra il Gennaio ed il Maggio del 1944 saranno in totale tredici i giovani caduti sotto il piombo angloamericano nella cava di pozzolana di questa località.
Ti capita di leggere questa lettera e di commuoverti, inaspettatamente ma senza alcuna vergogna. Ti sembra di sentir parlare un Codreanu, un Bobby Sands, un Robert Brasillach. Comprendi che nell’animo nobile di un ragazzo ancora giovanissimo era già pienamente manifestata un’aristocratica grandezza, era già forgiato un carattere d’acciaio, era già dispiegata una maturità spirituale ed una consapevolezza sovrumana. Lo senti parlare del suo spirito, dopo la notizia della condanna a morte: “ho sentito … che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà”. Lo senti parlare del proprio destino, in termini di “ciclo spirituale”: Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio, che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente”. Lo senti rivolgersi alla madre con la teologica certezza di chi ha già compreso ogni cosa: “sono certo che i nostri spiriti continueranno insieme il loro cammino di redenzione, dato che il legame che ci univa su questa terra, più di quello che esiste tra madre e figlio, è stato quello che unisce due spiriti affini e giunti allo stesso grado di evoluzione”. Lo senti parlare di un sacro ideale e di una sacra battaglia in nome della civiltà e dell’Europa, quella vera: “Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle, essendo legata ad un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può che assegnare a noi. Viva il Fascismo. Viva l’Europa”. Sai che questo ragazzo, insieme ai suoi tre camerati, ha cantato inni in faccia al nemico che stava per sopprimerne la vita corporea, senza ovviamente poter intaccare il resto. Non ha voluto essere bendato, è andato incontro sorridente al volto grossolano dei suoi stolti carnefici. Sai che costoro stanno pagando già il proprio fio, e che i solerti manovali della sovversione che dominano in questa generazione saranno chiamati a pagarlo, a tempo debito. Nel frattempo ti sembra di vederli, i volti trasfigurati e limpidi degli eroi che, in attesa della resurrezione in una nuova carne, percorrono lieti le sacre, luminose vie dei Campi Elisi.
Senti il cuore battere forte, un grande orgoglio ed un immenso senso di gratitudine. Comprendi cos’erano quei ragazzi, quale incommensurabile distanza c’è tra quell’epoca, tra quegli spiriti, e gli zombie di oggi. Comprendi che tra il 1945 ed il 2013 non sono trascorsi solo settant’anni, ma si è passati da un’éra all’altra della storia dell’umanità. Tutta la decadenza che pur già all’epoca si era manifestata, è solo un’ombra rispetto a quel che sta accadendo oggi. 

Sono decine e decine le lettere di ragazzi e ragazze della RSI condannati a morte, di cui quella di Franco Aschieri può costituire idealmente una sorta di esempio rappresentativo. Si tratta di documenti eccezionali, che è possibile rintracciare non solo in forma cartacea, in alcuni libri pubblicati diversi anni fa, ma fortunatamente anche su internet. Da ogni parola di queste lettere trasudano intatti il senso dell’onore e del sacrificio, un’idealità pura e cristallina, una fedeltà assoluta. Quanto sarebbe importante che i giovani lobotomizzati di oggi potessero, a scuola, leggere queste piccole opere dello spirito. Ma questa, si sa, è una pura utopia: tutti continueranno ad imparare a memoria “bella ciao” ed a sorbirsi le rosse filippiche filo-partigiane dei professorini post-sessantottini che tengono saldamente in mano, con il supporto di presidi e sodali di vario genere, le chiavi della cosiddetta pubblica istruzione, o di quel che ne è rimasto.  
Ti rendi conto, quindi, di quale stirpe fosse riuscito a creare il cosiddetto “male assoluto” - seppure, inevitabilmente, solo in piccola ma significativa parte - e la confronti con quella che ha saputo (ri)creare la democrazia, nell’era del materialismo cosmico e della schiavitù culturale alla american way of life: un confronto dagli esiti imbarazzanti, svilenti, drammatici.
Anche il racconto di Don Giuseppe Ferrieri, il parroco che assistette i ragazzi, è estremamente significativo, poiché rivela l’anima ancora pulita di un sacerdote d’altri tempi che non osava benedire in nome dell’antifascismo o andare a braccetto coi “compagni”, come hanno fatto ed amano fare i cattocomunisti di tutte le epoche, ma che con cristallina trasparenza sapeva chiamare “eroi” quei ragazzi che pure aveva soltanto da poco tempo conosciuto e che, con quello spirito profetico che oggi troppi religiosi hanno smarrito, chiedeva a quei giovani, una volta in cielo, di pregare “per l’Italia divisa in tanti partiti che la rovineranno”.

Sono anche queste piccole, grandi emozioni che contribuiscono a farti capire con sempre maggiore convinzione che quella che stai combattendo quotidianamente, nell’odio o nell’indifferenza dei veri ciechi, dei veri sordi, dei veri zombie, pur se con armi ben diverse da quelle che furono chiamati ad imbracciare quei ragazzi coraggiosi, è la buona battaglia, quella dello spirito contro la materia, del sangue contro l’oro - come ricorda una bellissima lapide posta a ricordo dei tredici caduti di Sant’Angelo in Formis – e che oggi potremmo definire anche quella della purezza contro la perversione.
Ognuno di noi, secondo le proprie capacità e le proprie attitudini, dovrà quindi cercare di portare avanti senza tentennamenti il testimone della Tradizione, onorando al meglio la memoria di quelle eroine e di quegli eroi che, come Franco Aschieri, sacrificandosi senza esitazioni, caddero col sorriso sulle labbra, in nome di quei grandi ideali per i quali avevano lottato.
  
Paolo G.
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Ultima lettera di Franco Aschieri alla madre
Tratto da “Lettere dei condannati a morte della RSI”, Edizioni B&C, 1976, seconda edizione, pagina 101-102

«Cara mamma, con l’animo pienamente sereno mi preparo a lasciare questa vita che per me è stata così breve e nello stesso tempo così piena e densa di esperienze e sensazioni. In questi ultimi momenti l’unico dolore per me è costituito dal pensiero di coloro che lascio e delle cose che non ho potuto portare a compimento. Ti prego, mamma, fai che il mio distacco da questa vita non sia accompagnato da lagrime, ma sia allietato dalla gioia serena di quegli animi eletti che sono consapevoli del significato di questo trapasso. Ieri, dopo che mi è stata comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto ed ho provato una sensazione che avevo già conosciuta da bambino: ho sentito cioè che il mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso, come se volesse liberarsi dai vincoli della carne per riconquistare la libertà. Non ho alcun risentimento contro coloro che stanno per uccidermi perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio, che ha giudicato sufficiente il ciclo spirituale da me trascorso in questa vita presente. Sappi mamma che non resti sola, perchè io resterò vicino a te per sostenerti ed aiutarti finché non verrai a raggiungermi; perché sono certo che i nostri spiriti continueranno insieme il loro cammino di redenzione, dato che il legame che ci univa su questa terra, più di quello che esiste tra madre e figlio, è stato quello che unisce due spiriti affini e giunti allo stesso grado di evoluzione. Sono certo che accoglierai la notizia con coraggio e voglio che tu sappia che in momenti difficili io ti aiuterò come tu hai aiutato me durante questa vita. In questo momento sono lì da te e ti bacio per l’ultima volta, e con te papà e tutti gli altri cari che lascio. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte che mi è destinata perché è una delle più belle, essendo legata ad un sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può che assegnare a noi. Viva il Fascismo. Viva l’Europa. Franco».


Il racconto dell’esecuzione di Don Giuseppe Ferrieri, parroco di San Pietro di Santa Maria Capua Vetere, che ebbe ad assistere Franco Aschieri e gli altri tre ragazzi
Tratto da “Lettere dei condannati a morte della RSI, Edizioni B&C, 1976, seconda edizione, pagina 54-55

«Li trovai che cantavano. Appena mi videro stettero zitti, e quando il cancello di ferro si aprì, mi si strinsero intorno. Io stavo in mezzo ad essi col solito sorriso. E sono quattro: un milanese, un romano, un napoletano, uno di Aquila. Il milanese e il romano erano biondi, quello di Aquila bruno, robusto, con un’aquila sul petto; il napoletano bassotto con i calzoni da ufficiale. Mi dissero che si erano già confessati. Feci recitare l’atto di dolore e dopo poche e semplici parole li comunicai. Stavano a mani giunte, guardando fissi l’Ostia Santa, che si posò viatico per l’estremo viaggio. Un breve ringraziamento. Due pose per fotografia, io in mezzo a loro nella prima, Gesù crocifisso tra loro e me nella seconda. Un militare della M.P. mi disse che avevo altri due minuti di tempo. – Siamo già pronti! – fu la risposta. Li volli accompagnare sul luogo del supplizio. Uscii con due di loro fra quattro M.P. americani armati. Il pianto dei carcerati ci accolse alla uscita del corridoio: Figli miei, figli miei! Erano le undici antimeridiane. Fuori del portone del carcere ci accolse un grido di dolore. Un po’ di gente venuta ad assistere al macabro spettacolo. I due, il romano Tapoli Giorgio studente in medicina, e il napoletano Tedesco Vincenzo, risposero inneggiando all’Italia fascista. salii con loro sulla Gip, tra il napoletano e un M.P., facemmo un buon tratto allegramente in quella macchina da ridolini, come disse il romano, il quale mi descrisse tutte le fasi della sua morte. Alcuni credettero e dissero che anch’io ero stato condannato. Arrivammo. Due pali in una partita di grano verde, dietro una cava di pozzolana. Parecchi ufficiali erano commossi, così pure il colonnello che, dopo la prima esecuzione, si disse increscioso di dover agire in tale modo. Eccoli vicino al palo, il romano si toglie la camicia. Mi dice che non vuol farsela bucare. Gli legano le mani: io lo conforto ricordandogli Gesù morto in croce. E’ sorridente. Gli dico che pregherò per lui e che lui deve pregare per i miei giovani. Due altre funi, una sul petto, l’altra sul ventre. Passo al napoletano, sorridente, bruno. Ha sul capo una bustina bianca con l’aquila hitleriana. Mi raccomandano le lettere che hanno scritto ai loro cari; io prometto di parlare agli ufficiali, i quali mi dicono che li accontenteranno. Altri pochi istanti; bacio il napoletano, bacio il romano, incoraggio ambedue, i quali rifiutano di essere bendati. Due soldati caricano i dodici moschetti. Quel chiudere ed aprirsi mi fa il cuore a pezzi. I due eroi hanno ancora delle parole: “Il tenente di Aversa (un certo Tonini, oriundo italiano che li aveva giudicati) sa che noi siamo innocenti”. In lontananza una terrazza è affollata di gente che guarda piangendo. Un comando secco: sei dei dodici poliziotti si inginocchiano; un altro comando: puntano il fucile; un terzo comando ancora … una detonazione. Abbasso gli occhi, un colpo solo. Vidi cadere i cari giovani, mi avvicinai a loro recitando tre Requiem e un De Profundis per ciascuno. Mi raccomandai alla loro intercessione. Quattro soldati americani e due cantonieri fanno da becchini. Fotografie a non finire durante tutta l’esecuzione ed il primo atto tragico termina. Si vanno a rilevare gli altri due, che arrivano alle 11,45. Appena mi vedono mi sorridono; hanno trovato una faccia, un viso amico che è lì per confortarli. Quello di Aquila si toglie anche lui la camicia. Lo legano, desidera una sigaretta. Un capitano gliela da’, accendendola; lo stesso fa per l’altro, il milanese, simpatica figura di giovane buono. Fo’ loro coraggio. Mentre lo legano, il milanese grida tre volte: “Heil Hitler”, e l’altro risponde: “Heil”. “Noi siamo innocenti. Dio stramaledica gli inglesi!”. Io lo guardo, mi capisce: avevo detto loro di non odiare il nemico. Mi guarda e canta: “Vivere sempre vivere, senza malinconia!” Li bacio sorridente tra i sorridenti, mi scosto pochi metri; i tre soliti comandi secchi … Vi vidi abbassare pian piano, o giovani. Ascoltai il vostro rantolo: i colpi non furono precisi come la prima volta; l’anima vostra stentava ad uscire dal vostro corpo. Che strazio al mio cuore! Vi assolsi l’ultima volta “Sub conditione” , Tre requiem e un De profundis per ciascuno. Una macchina di corsa mi condusse a celebrare la Santa Messa. Il popolo mi aspettava da pochi minuti impaziente. Là si ignorava tutto. Era una bella giornata primaverile si pensava a goderla. Celebrai la Santa Messa ancora commosso e pregai per le Vostre anime benedette, per le Vostre mamme adorate. Anche Voi dal cielo pregate per me, per i miei giovani, per il mio apostolato, per l’Italia divisa in tanti partiti che la rovineranno”.

giovedì 16 gennaio 2014

Cerimonia per i caduti di Nikolajewa


Domenica 26 gennaio "Cerimonia di Nikolajewka" alle ore 11.00 al Giardino Caduti sul Fronte Russo in via Cassia 737 Roma – Tomba di Nerone.

Appuntamento al campo della Memoria



Riceviamo e pubblichiamo il seguente comunicato:

Martedì 21 gennaio alle ore 10,30 presso il Sacrario del Campo della Memoria di Nettuno, una delegazione di autorità civili e militari renderà omaggio ai nostri Caduti in occasione delle celebrazioni per lo sbarco di Anzio.
Il nostro Sacrario, a completamento definitivo dei lavori di manutenzione e ripristino dell'oltraggio ricevuto, sarà inaugurato in primavera con una Cerimonia a cui hanno già aderito donne ed uomini della Decima da tutta Italia.
ASSOCIAZIONE CAMPO DELLA MEMORIA

Legione tagliamento


Riceviamo e pubblichiamo il seguente comunicato:

E' STATA RIPRESA LA PUBBLICAZIONE DELLA 'M' ROSSA, IL QUADRIMESTRALE INTERNO DEL 'GRUPPO REDUCI 1^ LEGIONE D'ASSALTO 'M' TAGLIAMENTO, ISTITUITO DAL SUO FONDATORE E PRESIDENTE TEN. GREGORIO MISCIATTELLI A RIPRISTINO E CONTINUAZIONE DELLO STORICO 'FOGLIO INFORMATIVO' DELLA LEGIONE TAGLIAMENTO.
LA 'M' ROSSA RIPRENDE COSI' IL SUO RUOLO DANDO INIZIO A UNA SUA NUOVA SERIE, FACENDOSI 'QUADRIMESTRALE ONLINE D'INFORMAZIONE A CARATTERE STORICO E CULTURALE DELL'ASSOCIAZIONE REDUCI 1^ LEGIONE CC.NN. 'M' D'ASSALTO TAGLIAMENTO', A
PARTIRE DAL PRIMO NUMERO:  ''ANNO I, N. 1, GENNAIO 2014'.




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